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Cod Art 0334 | Rev 00 | Data 14 Ott 2010 | Autore Pierfederici Giovanni

 

   

 

RESIDUI BELLICI CHIMICI IN ADRIATICO

Logo Residui bellici chimici in Adriatico

Lo scorso 8 Ottobre 2010, noi di biologiamarina.eu abbiamo assistito all'’incontro-dibattito sul tema “Residui bellici chimici nell’Adriatico”, che ha avuto come protagonisti Gianluca Di Feo, autore del libro inchiesta “Veleni di Stato”, Massimo Mariani, dirigente del Servizio Rifiuti-Suolo del Dipartimento Provinciale ARPAM (Agenzia Regionale Protezione Ambientale Marche) e Matteo d’Ingeo, coordinatore del Movimento Liberatorio Politico di Molfetta. L'incontro si è svolto all'interno dei locali della sala Pierangeli della Provincia di Pesaro.

Il racconto-inchiesta di Di Feo è stato a dir poco avvincente, ricco di dettagli e aspetti poco noti non solo al grande pubblico ma anche a chi, come il sottoscritto, si occupa da tempo dello stato ambientale della provincia di Pesaro.
Praticamente, le acque antistanti Pesaro, Molfetta e Ischia, ma anche quelle del lago di Vico, sono state usate come discariche sia dai tedeschi che dagli americani. I primi hanno scaricato le testate chimiche nelle acque a largo di Pesaro, il 10 agosto 1944, su fondali poco profondi, perchè come tutti sappiamo, la batimetria dell'Adriatico è modesta. Gli americani invece hanno lasciato i loro ordigni chimici a Molfetta e ad Ischia, anche in questo caso in pochissimi metri d'acqua. A Molfetta sembra addirittura esserci un bunker-deposito sottomarino, la cui ubicazione non è stata ancora svelata.

Afferma Di Feo: "Ancora oggi non si riesce a stabilire con esattezza quante armi chimiche siano state prodotte in Italia tra il 1935 e il 1945. Il piano varato da Benito Mussolini all'inizio della guerra prevedeva la costruzione di 46 impianti per distillare 30 mila tonnellate di gas ogni anno; i documenti britannici analizzati - decine di file con rapporti segreti, relazioni diplomatiche, verbali di riunioni del governo, minute di interventi di Winston Churchill e altri atti riservati che riguardano un periodo dal 1923 al 1985 - sostengono che si possa trattare di una quantità tra le 12.500 e le 23.500 tonnellate.

Gli americani e gli inglesi sembra avessero dislocato in Puglia e in Campania circa 200.000 ordigni chimici, di cui 100.000 riportati in patria, e altri 100.000 sarebbero invece finiti in fondo al mare, a Manfredonia, Molfetta e a Ischia.
I tedeschi, in fuga dalle Marche, avrebbero affondato i loro micidiali ordigni in maggioranza tra Castel di Mezzo e Pesaro, e sono note anche le coordinate delle zone in cui sono stati scaricati.
I misteri da svelare sono ancora molti. Per esempio in un documento del Ministero della Difesa, si afferma che nel medio Adriatico sono stati ripescati 9.345 ordigni, molti di più di quelli censiti e che sono citati nei documenti tedeschi, per cui mancano ancora dei documenti e le "discariche marine" sono molte di più di quelle note sino ad ora.
Questo colossale cimitero sottomarino libera lentamente i suoi spettri: le bombe vengono corrose e rilasciano iprite e arsenico. L'unico studio condotto nel 1999 dagli esperti dell'Icram ha trovato tracce delle due sostanze negli organi dei pesci di quella zona e nei fanghi del fondale. Il responsabile dei ricercatori, Ezio Amato, ha denunciato una situazione agghiacciante: «I pesci del basso Adriatico sono particolarmente soggetti all'insorgenza di tumori, subiscono danni all'apparato riproduttivo, sono esposti a mutazioni che portano a generare esemplari mostruosi».

CHE COSA È L'IPRITE?

All'epoca della Seconda Guerra Mondiale le armi chimiche ebbero lo stesso potere persuasivo delle armi atomiche di oggi. Per cui vi fu una corsa agli armamenti vera e propria.
L'iprite, nome che deriva dalla battaglia tra Tedeschi e Francesi nella località di Yprès, è un gas molto tossico, noto anche come gas mostarda o gas croce gialla. Agisce a livello cellulare e in particolar modo a livello della cute e delle vie respiratorie. Provoca l'aumento della permeabilità e la dilatazione dei capillari e quindi repentini abbassamenti della pressione sanguigna. A basse concentrazioni non risulta percepibile (è un gas inodore, ma ad alte concentrazione emana un tenue odore di senape) e i danni cellulari si manifestano a distanza di giorni. Ad alte concentrazioni i danni sono immediati, e nel giro di poche ore sopraggiunge la morte per necrosi delle vie respiratorie, senza provocare edemi polmonari ma una sintomatologia molto simile.

Foto aerea di Ypres, 1915

La prima fotografia aerea dell'attacco chimico a Yprès. Sembra che i Francesi, nell'Ottobre del 1914, avessero utilizzato armi chimiche. A seguire, la rappresaglia dei Tedeschi, che spararono 3.000 shrapnels di sali di dianisidina, che risultarono inefficaci. Il 22 Aprile 1915 usarono il cloro e "gasarono" 15.000 soldati francesi, provocando almeno 5.000 morti. Ma ben presto furono sviluppate le protezioni com maschere antigas e il cloro venne sostituito dal solfuro di etile biclorurato, ovvero l'iprite, per la quale non vi era alcuna protezione. Per 10 giorni, a partire dalla notte tra l'11 e il 12 luglio 1917, i tedeschi spararono 1.000.000 di proiettili equivalenti a 2.500 tonnellate di iprite.
In Italia le armi chimiche furono utilizzate la prima volta il 29 Giugno 1916 alle 5 del mattino, e morirono 6.428 persone, tra le linee della brigata Pisa, Ferrara e Regina, dislocate tra San Michele e San Martino sul Carso. Molti italiani tramortiti dal gas furono crudelmente finiti a sprangate dagli austroungarici, e inoltre, un cambio di vento rispedì il gas al mittente, provocando danni anche tra le linee nemiche.

A medie concentrazioni l'iprite è un gas vescicante, provoca la caduta della pressione sanguigna e il rigonfiamento dei genitali. Il tasso di mortalità dei 10.000 soldati "gasati" dai tedeschi, fu del 2%, mentre il 35% di loro fu messo definitivamente fuori combattimento, e il resto dei soldati recuperarono dopo 45 giorni circa.
Tuttavia questi dati non furono considerati esaustivi dai militari, che sperimentarono l'iprite, dopo il 1941, tra i soldati canadesi a Suffield, nell'Alberta, tra gli Australiani a Innisfaild nel Queensland, tra gli Inglese a Porton Down e soprattutto tra i soldati Inglesi di origine indiana a Karachi (attuale Pakistan), lasciati morire sotto il sole in campi impregnati del micidiale gas.
Gli effetti dell'iprite sono i seguenti:

L'iprite è poco solubile in acqua e per fortuna poco persistente nell'ambiente terrestre, mentre è meno indagata la sua persistenza a livello dei sedimenti marini. Il fatto che sia poco solubile in acqua indica la sua alta lipoficità, per cui penetra facilmente nei tessuti grassi. La sua bassa pressione di vapore indica che a basse temperature evapora lentamente, tuttavia ricordiamo che è tossica sia come liquido che come vapore.
Molti casi moderni di intossicazione da iprite sono stati segnalati a Molfetta e i pescatori della zona ormai conoscono bene la sintomatologia. Sembra che sino ad oggi vi siano stati, tra i pescatori, 217 decessi indirettamente collegati all'esposizione cronica all'iprite. Purtroppo molti di loro non collaborano e non segnalano la presenza degli ordigni (a volte sono ripescati gia aperti o vuoti), perchè alcune aree sono interdette alla pesca e quindi, l'eventuale segnalazione, indica automaticamente l'aver commesso una infrazione. Oppure spesso gettano gli ordigni ripescati in altre zone.

Sono ancora molti gli ordigni che attendono di essere riportati in superficie, ed è ancora lunga la starda da percorrere. La provincia di Pesaro si sta muovendo, sembra, nella giusta direzione; Molfetta, grazie a Matteo d’Ingeo sta facendo un ottimo lavoro, mentre Ischia, purtroppo, sembra indifferente al problema, come se non esistesse.
Anche il Gruppo Italiano di Geologia Medica si sta interessando, dal momento che potrebbero essere utilizzati come biondicatori dei protozoi (i foraminiferi), per evidenziare la presenza di eventuali perdite di iprite. Tuttavia questo aspetto necessita di essere ulteriormente indagato e approfondito, per cui al momento rimane un'ipotesi.
Purtroppo non sono noti gli effetti sulla fauna bentonica, ne immediati per esposizione massiva, ne cronici per esposizione prolungata, ma le testimonianze di pesci deformi e mostruosi nelle zone descritte, non mancano.
Invitiamo, chiunque avesse a disposizione delle immagini relative a pesci o altri organismi deformi, a collaborare con noi, per divulgare questa tematica così importante e delicata, al fine di individuare eventuali zone contaminate, e di preservare la salute dell'ambiente marino e della collettività.

AGGIORNAMENTO DEL 31 MARZO 2011
È nato a Roma, qualche giorno fa, il Coordinamento Nazionale Bonifica Armi Chimiche, con lo scopo di sollecitare il Governo e le Istituzioni a dare il via ad azioni di monitoraggio e soprattutto di bonifica. Il portavoce del Coordinamento è Alessandro lelli, docente di Economia all'Università di Bologna. Riassunto da Il Resto del Carlino del 31 marzo 2011.

Sito web: www.velenidistato.it.

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BIBLIOGRAFIA

SITOGRAFIA